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Documenti. Cronaca di autore anonimo

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«Vili, traditori, infingardi e ben s'addicono ai valorosi figli dell'Austria.

Il sole d'Italia, già da più anni sepolto nell'oscura nebbia del Settentrione, sorgeva nel ‘59 più che mai limpido per la Patria; le belle sponde Verbanesi non mai tarde alla sveglia rivestivansi già di molte erbette e di verdeggianti fronde ed invitavano il viaggiante ammiratore a cullarsi nei bei paesetti.

Se non che gl’ingordi Austriaci degeneri degli avi loro, da predoni e da ladroni percorrevano pirateggiando le amene sponde del Verbano imponendo contribuzioni ai paeselli inermi, guastando e rubacchiando quanto lor si faceva agli occhi. Già diversi paesi della destra sponda avevan sentito la preponderanza austriaca ed Intra, la manifatturiera città, se ne stava tranquilla solo subodorata da quei corvi che si compiacevano passarle avvicino.

Quand’eccoti un bel dì gli arriva la contribuzione di 2000 franchi che quei baldanzosi volevano nello stretto limite di 2 giorni. Sfacciata prepotenza, gl’Intresi non furono mai codardi e vili, ma che la mollezza del loro capo [il sindaco Pietro Bozza] pauroso più che mai di quei giocattoli che quegli tenevano sul loro Radeschi, fece sì che loro venne portata la somma suddetta.

Per portare questo denaro a Laveno vennero incaricati Cesare Varini, giovane ardimentosissimo, già proprietario d’una delle filature da cotone d’Intra, e Vittore Tonazzi.

Essi si fecero traversare in barca al covo dei predoni e quindi vennero scortati dalle guardie austriache, che erano a custodia della riva, al forte principale per presentarsi al comandante, il quale essendo assente furono ricevuti da un suo luogotenente. Prima però di consegnare la somma, Varini richiese l’ufficiale d’una ricevuta, che non potendo egli rilasciarla gli proponeva di aspettare il comandante, il quale doveva arrivare in quella notte e gli offriva di passarla a Laveno. Al che l’incaricato intrese soggiungeva che avrebbe accettato se non avesse dato promessa ai suoi di ritornare quella sera, e temeva che non vedendolo ritornare s’inquietassero per lui e sul dubbio che l’avessero trattenuto per forza non cercassero d’andare a liberarlo. Piuttosto sarebbe ritornato la mattina seguente e in quell’intesa si separarono. L’indomani verso le 7½ Varini ritornò a Laveno e trovato il comandante gli consegnò il danaro, quindi se ne partì colla ricevuta e venne ad Intra ove fu accolto festosamente.

Due giorni appresso eccoti il Radeschi nuovamente abbordare la riva. Otto armati con un ufficiale approdano in uno schifo, vengono scortati dalla Guardia Nazionale fino all'Aula Municipale e domandano entro lo spazio di 5 giorni una corda di smisurata grossezza impossibile a farsi in sì breve tempo, e travi in quantità, pur essi di misura considerevole; lascio pensare a voi come si doveva fare ad eseguire quell'infame contribuzione in sì poco tempo.

Passati i giorni prefissi eccoti il Lupo partire da Laveno a marcia forzata; tutt'Intra s'arma, in forse d'essere attaccati, a venti metri dal paese chiede il contributo: nulla v'era di pronto. Varini, giovane ardimentoso, che portava il distintivo d'ambasciatore del paese, entra in una barca e portatosi a bordo del vapore loro narra l'impossibilità della cosa e già eran persuasi quando un cittadino M.G. sputa detto fatto potersi trovare travi a piacimento; sale a bordo vanno in Fondo Toce e si trascinano gloriosi la vil preda che il traditore patriota procurò loro.

Il giorno seguente circa le ore 4¼ pomeridiane il Ticino s'accostò ad Intra chiamando barca, ripeté due o tre volte la stessa chiamata e vedendo comparire nessuno se non una moltitudine di fanciulli e donne, sempre coi cannoni rivolti al paese partì e si avvicinò ad una barca che si trovava alla foce del fiume San Bernardino in cui si trovavano due uomini che pescavano i borretti; giunto a poca distanza dalla barca il vapore si fermò ed il capitano rivolse a quei due uomini le seguenti parole: Andate ad Intra e ditegli al Comitato di Provvedimento che il capitano del Ticino vole che gli siano consegnati quei due giovanotti ch'egli tiene in prigione come spie.

Gli uomini allogate le cose loro s’accostarono al lido, sbarcarono e condottisi davanti al Comitato di Provvedimento esposero il volere del capitano del Ticino, il quale pensò di mandare l'ambasciatore.

L'ambasciatore Cesare Varini con Vittore Miller [Müller], membro del Comitato, si portarono a bordo del vapore: l'ambasciatore espose davanti al capitano il volere del Comitato colle seguenti parole: Essere volontà del Comitato di Provvedimento di non rilasciare i prigionieri che a guerra terminata. Il capitano al dire dell’ambasciatore si sentì fremere; passati alcuni minuti di silenzio il capitano prese la parola e disse: Ebbene giacché i prigionieri non li volete rilasciare, mi sia dato il Sindaco in ostaggio.

Il Sindaco lo seppe, andò in piazza del Municipio ove si trovavano alcuni militi della Guardia Nazionale e tutto tremante volse loro le seguenti parole: Figliuoli miei difendete il vostro Sindaco. Gli Intresi a queste parole si commossero e non guardando ai mali ricevuti fecero sapere ai Tedeschi che il Sindaco non l’avrebbero consegnato nelle loro mani. Il capitano vedendosi deluse le sue speranze intimò all’ambasciatore la guerra pel giorno seguente alle due pomeridiane. Cui l'ambasciatore rispose: Ben volontieri l'accetto, stante che questo popolo non può più stare in ozio e freme di rabbia non potendo venire alle mani e dopo il convenuto saluto l’ambasciatore calò in barca e il vapore partì alla volta di Pallanza.

Mentre si intimava la guerra sotto il portico del Pretorio stava ragunata una compagnia della Guardia Nazionale pronta a calare in piazza caso mai fosse accaduto qualche inconveniente. A capo della compagnia stava il sig. Antonio Restellini, il quale comandava al capitano sig. Giovanni Aluisetti che facesse suonare tutte le campane del paese per chiamare la gente dei paeselli vicini. Intanto da alcuni militi della Guardia Nazionale si distribuivano le munizioni ed i fucili a tutte le persone capaci, se si fosse presentata l’occasione di difendere il paese.

Venuto all’orecchio di Restellini che il vapore partiva per Pallanza, alla testa d’una trentina d’uomini, preceduti da un tamburro e seguiti da alcuni giovinotti, partì a marcia forzata alla volta di Pallanza. Giunto al ponte di S. Bernardino 3 militi li mandò per lo stradone, gli altri andarono per la campagna; quelli che andarono per lo stradone correndo a tutta forza arrivarono prima del vapore alla punta della Castagnola e si portarono sull’altura ove pochi giorni prima stavano appostati i cannoni coll’intenzione di far fuoco sul vapore, purché fosse venuto al tiro. Infatti il vapore passò vicinissimo e sul cassero v’era il capitano; uno dei 3 militi nomato Gottardo Antonio detto de la Scionig, puntò il suo archibugio ed assicurò agli altri due che avrebbe ucciso il capitano e l’avrebbe infatti ucciso se questi, nel tempo che quegli appostava il suo archibugio, non avesse fatto un salto sul pavimento come si fosse accorto che tramavano alla sua vita. Il tiro andò più che bene perché sul cassero del vapore sta segnata la via tenuta dalla palla, la quale sarebbe stata benedetta e tenuta nella memoria degl’Intresi se in luogo del cassero avesse colpito la testa di quell’infame tedesco. Il suddetto Gottardo Antonio venne dal sig. Carlo Franzosini (che in quel tempo era come generale in degnissimo della piccola armata) ricompensato con una somma di danaro. Nulla accadde a coloro che tennero la strada delle campagne, finché arrivati al principiare della contrada della Ruga che conduce sotto i portici dell’Intendenza il tamburro avvertiva i soldati di porsi in aspettativa di marciare al passo di carriera e uniti in caso d’un’aggressione. Arrivati sotto i portici videro il vapore che stava per arronciliarsi al molo di Pallanza, ma accortosi dell’arrivo degl’Intresi prese il largo e nuovamente parve volesse tornare ad Intra.

La compagnia del Restellini preceduta dal tamburro e seguita dai giovinetti per nulla intimorita dalla baldanza dei Tedeschi s’inviarono pur essi a venire ad Intra per lo stradone sempre alle spalle del vapore, giunto alla Punta della Castagnola il vapore si ferma e la compagnia veduto che s’apparecchiava a sparare colpi di cannone prese la corsa ed arrivò a stanziarsi nella fornace dei mattoni. I giovinetti più curiosi o meglio non curanti del pericolo si fermarono a guardare il vapore e s’accorsero, ma troppo tardi, che voleva mitragliare la Castagnola, credendo forse che il drappello della Guardia Nazionale fosse li nascosto fra quei cespugli all’intorno del praticello che forma la suddetta punta. Infatti non appena s’erano collocati parte lungo il condotto d’acqua e 3 altri più svelti e nerboruti che arrampicatisi su per lo scoglio s’erano messi dietro i terrapieni ove pochi giorni prima stavano appostati i cannoni, e questi erano: Ceretti Paolo, figlio di Giovanni, Angelo Gaetini, figlio di Vittore, e Grignaschi Pietro di Pietro, tutti e tre si S. Rocco, che si sentì un colpo di cannone che colpì la parte inferiore dello scoglio, poi subito un altro in seguito al quale alcune palle arrivarono sullo stradone minacciando quei giovinetti che si trovavano distesi lungo il condotto d’acqua. Fatti questi due colpi i giovinetti accortisi che in poppa di cannoni non ve n’erano più partirono a tutta corsa e raggiunsero la compagnia della Guardia Nazionale nella fornace di mattoni. Fatto questo i Tedeschi non so il perché, il fatto sta che spararono sopra l’Isolino circa 30 fucilate e quindi suonando l'agonia, come per avvertire quelli della Guardia Nazionale d'Intra e tutti gli Intresi che li volevano a morte, partirono per Laveno, forse per apparecchiarsi alla gran battaglia che secondo loro volevano dare alle due della dimane agli abitanti d'Intra.

Quelli che erano alle vedette videro che il vapore partiva per Laveno avvertirono i suoi compagni che erano nella fornace d’uscire e s’inviarono ad Intra; quando questi entrarono in paese entrava pure un soldato (che preso stanza a Pallanza) per domandare alle autorità d’Intra come si doveva fare per ispegnere il fuoco caso mai fosse entrata nel paese una qualche bombola incendiaria, avuta l’udienza partì nuovamente per Pallanza tutto contento d’aver saputo l’espediente d’adoperarsi caso mai fosse succeduto l’incendio nella sua casa, e giurò di non adoperarsi per nessun altro, poiché la prudenza della popolazione pallanzese stimava onore, quando il vapore si faceva in vista di Pallanza, fuggire alla Madonna di Campagna ed anche più in là come credeva opportuno. Quella sera stessa il Comitato di Provvedimento parlò alli signori Guller & Grenter di Zelasca e loro diedero la commissione di fare un cannone da 16 il più presto possibile e tutti i fondeur giorni e notti travagliarono tutti contenti di potere anch’essi colla loro arte servire in qualche modo alla difesa del paese. Notte e giorno da quando principiarono a fondere il cannone sino a che fu condotto ad Intra alla porta della Fonderia per ordine dell’autorità fu lasciata colà stanziata una compagnia di Guardia Nazionale ben munita d’armi e munizioni e pronta a difendersi caso mai i baldanzosi Tedeschi avessero tentato d’impedirne la fabbricazione, ciò che non fecero, non so poi se per timore o per essere all’oscuro della cosa, cosa ch’io non credo, perché quei due giovinotti che si tenevano rinchiusi come spie lo erano di fatti e se i Tedeschi hanno potuto trovarne due non avranno avuto solamente quelle ma delle altre e tra quelle il sig. Pavese Barnaba, il quale se andò esente dal carcere fu perché niuno v’era di poterlo consegnare alle autorità come spia, sapendo egli farla colle dovute cautele, ma che lo fosse questo è di fatto.

Se foste stato presente dallo spuntar dell’alba del giorno seguente sino a mezzogiorno quando ebbero terminate le barricate avreste veduto più di 200 persone d’ogni ceto portar fascine, borretti e sacche di seghidaccio tutto questo per prontare le suddette lungo la riva d’Intra ove non v’erano muretti, ai piedi dei quali si fecero dei fossi in cui un uomo poteva comodamente stare in piedi senza esporsi al pericolo d’essere preso di mira; nel porto nuovo dalla parte che guarda verso il lago si fecero dei terrapieni ove si collocarono le spingarde del sig. avvocato Bellini residente a Zelasca; davanti al palazzo dei Macelli ve n’era un’altra, sul molo vecchio un’altra e davanti al palazzo del sig. cavaliere Lorenzo Cobianchi ove le barricate erano state fatte di balle di cotone e di fascine, un’altra, queste ultime appartenevano al sig. Carlo Franzosini membro come già s’è detto del Comitato di Provvedimento. Al dopo pranzo, circa ad un’ora, tutta la Guardia Nazionale, il drappello Bersaglieri, più una gran quantità di volontari erano schierati sulla piazza del Municipio pronti a portarsi alle barricate quando loro fosse dato il comando dai superiori, ma si aspettò invano, poiché in luogo di venire a combatterci come ci aveva promesso, il Ticino col Benedech pirateggiavano il tratto di lago tra Laveno e Belgirate, [...] veduta una barca che si scostava dalla riva di Belgirate e che apparteneva a Ceretti Vittore fruttajuolo d’Intra, si avvicinarono e spogliarono la barca di tutto il contenuto: uva, ciliegi, persici e altra frutta nonostante il pregare che fece esponendo il suo stato di famiglia; giunto ad Intra raccontò il tutto.

… sabbato sera il presidio di 40 uomini che si trovava a guardia della Fonderia, si accorse che i vapori austriaci durante la notte avrebbero tentata qualche impresa, perché sino dal principio della sera il vapore tedesco colla barca cannoniera, ed il Ticino correvano il tratto di lago da Belgirate alla Punta di Porto. Il presidio fece avvisato il Comitato, il quale pose le scolte dalla Punta della Castagnola ad Oggebbio. Non appena la notte ebbe esteso il suo velo ch’era piuttosto tetro per essere il cielo coperto di nubi, ogni quarto d’ora si sentiva ripercuotere le orecchie da una sentinella: Allerta! Che partiva dal punto centrale delle scolte che si trovava vicino al palazzo del sig. Lorenzo cavaliere Cobianchi e via via ripetendolo da tutte le scolte che lungo le due riviere di settentrione e mezzogiorno si trovavano.

Il presidio non si mosse dal suo posto che guardava, non prese riposo, ma stette sempre pronto coll’armi in pugno per correre ove il pericolo l’avrebbe chiamato.

Era la mezzanotte quand’eccosi ripercuotere la pesante aria da un rullo di tamburro, era Ghiffa che batteva la generale. Una scolta del presidio vicino al paese udito la generale e parendole l’ora più che tarda, e più ancora per non potere discernere se si vedeva il vapore o no, secondo l’ordine avuto dal suo capitano, scarica la sua carabina ed in men che nol dico si reca al quartiere del presidio a darne avviso al suo capo. Questi raduna i suoi 40 uomini che erano armati sino ai denti e pien di coraggio quanto lo erano i 300 […], alla testa di loro s’invia alla volta di Ghiffa per chiarirsi della cosa. Dopo una marcia più che silenziosa arrivati poco lungi dal paese veggono sullo stradale una massa nera che la pesante atmosfera non lasciava giudicare se si muoveva o no; ad un alt del capitano Vietti, membro del Comitato di difesa, tutti si fermarono e divisisi in due ali, una per parte dello stradale, si mettono bassi bassi ed attenti aspettano per chiarirsi del fatto.

Erano 7 o 8 uomini armati vegnanti alla lor volta giunti che furono ad una ventina di passi di distanza un alt chi va là! Tuona dal capo degl’Intresi, quelli rispondono: pattuglia girante; gli si chiede la parola d’ordine, non la sanno; alla fine sono riconosciuti per militi di Ghiffa col loro capitano Ruschetta che servivano di scolte. Vietti interrogò il capitano Ruschetta del perché avesse suonato la generale, questi rispose: per radunare gli uomini. Non mancò il capitano degl’Intresi di dargli la dovuta riprensione; e quei 40 rifacevano la strada per portarsi a guardare il Comune contenti d’essersi chiariti della cosa, ma più frementi di rabbia per non aver trovato di che sfogare l’odio che tenevano rinchiuso, contro quelli che credevano sbarcati per saccheggiare il loro paese.

In pochi dì il cannone fu condotto a termine, provatolo e riconosciutolo buono fu collocato dietro al porto nuovo. Dal giorno che gl’Intresi ebbero il cannone, tutti, più di prima, erano bramosi di battaglia, ma questa non doveva aver luogo.

Approntato il cannone e le palle, vi mancava la polvere e qui il Comitato di volo a Pallanza dal Sottoprefetto per farsela rilasciare come teneva ordine dal Re di rimettere cioè polvere a chi avrebbe voluto difendersi. Il credereste, quel codardo gliela negò ipso facto; arrabbiati quei miseri, tolta così vedendosi la via più retta per difendersi, perciò non si confondono più veloce del vento si portano alle cave di Mergozzo e di Crevola ove trovarono polvere abbastanza da poter dire al prezzolato Sotto-prefetto: eccone bastante per confondere quella .. ciurmaglia che voi signore sostenete.

 

Manoscritto inedito, e non firmato

ASVb, Sala Storica Intrese, b. 2, fasc. 93