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Documenti. Relazione del Consiglio Comunale

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Esposizione storica dei fatti avvenuti nei primi giorni di maggio 1859.


«Nel pomeriggio di domenica, giorno primo corrente mese, verso le ore quattro si avvicinarono a questa sponda tra l’Isolino di S. Giovanni e la punta della Castagnola, due piroscafi austriaci, il Radetzki ed il Benedek, il primo a ruote della forza nominale di cento cavalli circa, il secondo ad elice della forza nominale di quaranta cavalli, ambedue armati a guerra, quello con sei pezzi di cannoni del calibro di centimetri ventidue con cavalletti laterali fissi alle sponde per lanciare racchetti, questo con due pezzi di cannoni d’eguale calibro, aventi si l’uno che l’altro a bordo truppe di marina.

Furono dai detti piroscafi messe in acqua e quindi a terra due imbarcazioni cariche di dieci soldati armati cadauna, sormontate a prora da una spingarda; i soldati salirono nel podere proprio del signor Filippo Garroni fu Giacomo Antonio ove, dopo d’avere collocate due sentinelle armate per impedire il passaggio sulla strada nazionale, perlustrarono il luogo nel quale stava collocata fino al giorno 25 aprile p.p., per opera dell’Artiglieria Piemontese, una batteria di posizione e d’assedio composta di due cannoni da 16 e di due obici pure da 16, e dopo di avere riconosciuto che né ivi, né in tutto quel podere e nei caseggiati entrostanti vi esisteva più alcun materiale di guerra risalirono sui piroscafi.

Partirono poscia questi, cioè il Benedek verso Stresa ed il Radetzki verso Intra d’onde ricomparve ben tosto innanzi alla Piazza maggiore di questa Città [Pallanza] fermandosi a brevissima distanza dalla spiaggia, appuntando quattro pezzi di cannone contro l’abitato e gli artiglieri pronti a far fuoco colla miccia accesa.

Messe in acqua e quindi a terra due imbarcazioni armate come sopra coll’aumento però di un graduato, recaronsi le medesime nel porto regione in Castello(1) ove ritrovati tre barconi piatti inservienti al trasporto delle merci (sassi, legna e carbone) sulli fiumi Toce e Ticino, denominati volgarmente da cagnone, li rimorchiarono sino alla distanza di settecento metri circa dalla riva e quivi colla scure ne guastarono il fondo in modo da farvi penetrare acque e sommergerli come di fatto colarono a picco.

Li detti barconi appartenevano, uno a Giuseppe Antonio Rossi detto Brione, nato a Suna, sostraro di sassi a Milano sulla piazza delle Pioppette, altro a Biagio Viganotti fu Giuseppe di Castelletto Sopra Ticino (Piemonte) dimorante a Sesto Calende (Lombardia) e l’altro a certo Viganotti pure di Castelletto Sopra Ticino.

Il primo dei barconi medesimi era carico di sassi (beole) di quaranta moggie di carbone e di quaranta martelli di acciajo detti mazzoli, merci tutte proprie di detto Rossi, altro era carico di sabbia e l’ultimo trovavasi mezzo carico di pietre da taglio.

Il piroscafo Radetzki partì quindi da Pallanza recandosi alla vicina spiaggia di Suna, ove mise a terra le imbarcazioni come sopra, i soldati recaronsi ad osservare se lungo la spiaggia eransi nei porti barconi, ma non avendone trovati che tre in riparazione, chiesero contezza di un barcajuolo denominato volgarmente Marchesino e non essendosi il medesimo presentato, dimandarono i giornali piemontesi offrendo tre franchi per farne acquisto, ma anche a questa dimanda nessuno annuì.

Intanto mentre il piroscafo Radetzki era fermo nelle acque presso Suna, il Benedek direttosi a Stresa rimontava fino a Fondotoce ove arrestavasi tra la foce della Strona e quella del Toce, metteva in acqua una imbarcazione montata da nove armati dirigendola verso terra, ma prima che vi giungesse un piccolo avamposto di sette Cacciatori franchi comandato da un ufficiale che trovavasi sulla sponda sinistra del Toce traghettaronlo frettolosamente sopra un leggiero barchetto e portatisi sulla destra verso il punto ove dirigevasi l’imbarcazione austriaca, l’accolsero con una viva fucilata continuata impavidamente sotto il fuoco delle granate che partivano dal Benedek e dal Radetzki

Giunto poco dopo in suo soccorso non che da una spingarda posta sulla prora dell’imbarcazione, costringendo e questa e gli stessi piroscafi ad allontanarsi riprendendo la via di Laveno (Lombardia). In questo fatto, la cui esattezza è constata fin da testi occulari che lo osservavano con telescopj, sia dalle informazioni dal Consiglio raccolte sulla faccia del luogo, sette soldati ed un ufficiale Piemontesi ponevano in fuga due piroscafi austriaci carichi di truppe e portanti otto cannoni.

Dei soldati che stavano nella imbarcazione, due soltanto furono veduti remigare e rimontare a bordo del Benedek, giacendo gli altri distesi sul fondo dell’imbarcazione medesima, ignorasi se morti o feriti.

Il mattino del successivo giorno due piroscafi austriaci ritornavano a Fondotoce da dove i Cacciatori franchi di Sardegna eransi nella notte ritirati, ed accertatisi dell’abbandono del posto anche mediante due cannonate a mitraglia, misero a terra una imbarcazione ordinando a quei poveri abitanti di affondare senza indugio tutti i barconi, compresi quelli inservienti al porto, che trovavansi nel Toce, nel canale di Mergozzo e nella Strona, intimando loro che, in caso contrario, li avrebbero affondati coi cannoni, devastando altresì quell’abitato.

Raccolsero in tale circostanza informazioni da un villano sullo da essi temuto arrivo di un corpo di Cacciatori delle Alpi dalla parte di Omegna e si dimostrarono esattamente e minuziosamente informati di tutto quanto era accaduto nella precedente notte, cioè del numero delle barche ricoverate sia nel Toce, che nella Strona e nel Canale di Mergozzo, dell’ora in cui i nostri soldati avevano all’abbandonato il posto (ore 11 ½ pomeridiane), della strada da essi tenuta e persino del luogo ove erasi loro offerta da alcuni Cittadini una refezione. Continuarono d‘allora in poi ogni giorno le visite a Fondotoce le quali porgono occasione ed ai periti delle cose di guerra ed alle popolazioni del Lago di fare voti perché una notte pochi pezzi d’artiglieria compajano sullo storico piano di Fondotoce, ove senza grande difficoltà sarebbe forse loro dato d’impossessarsi dei piroscafi austriaci, liberando così dalla loro sovranità gli abitatori del Verbano.

Il Consiglio manda rassegnarsi copia del presente al sig. Presidente del Consiglio dei Ministri. Letta ad alta voce all’adunanza ed approvata quindi sottoscritta.

Franzi, sindaco

Bellorini, consigliere

Arnatti, cnsigliere

Bartolomeo Franzi, consigliere

Pizzigoni, consigliere»

ASVb, Comune di Pallanza, b...

 

(1) È l’attuale porto di Pallanza. La località era chiamata in castello poiché lì sorgeva il castello della famiglia dei feudatari da Castello- Barbavara.