Ferri Francesco

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Francesco Ferri nacque nel 1816. «Era un uomo magro, asciutto, noto per il suo buon cuore e per la sua audacia. C'era in lui una strana mescolanza di bontà e di fierezza; per rendere un servizio a un superiore o a un amico esponeva la propria vita a qualunque rischio, e avrebbe anche ammazzato un uomo come si uccide un insetto. La sua qualità di facchino del municipio [di Milano] lo metteva a contatto cogli assessori e col Podestà, ai quali era sempre devotissimo». Il 18 marzo 1848 fu incaricato dall'assessore Marco Greppi di allestire una scorta alla deputazione che quel giorno si sarebbe recata al palazzo del governo per chiedere al vice governatore conte Heinrich O' Donnell la riforma dello stato di polizia. Il Ferri radunò un centinaio di uomini e li dispose a fianco delle carrozze che conducevano il podestà Gabrio Casati e la sua amministrazione a parlamentare con gli Austriaci, ma quando giunsero dal vice governatore la folla aveva già preso possesso del palazzo e preso in ostaggio lo stesso conte O' Donnell. Nei giorni successivi «il Ferri balzò animoso alle barricate, incuorando con la voce e coll'esempio alla resistenza, finché nella quinta giornata una palla lo ferì a Porta Tosa [oggi Porta Vittoria], dove le truppe asserragliate incominciavano a battere in ritirata». Entrato a far parte del Comitato dell'Olona di ispirazione mazziniana, partecipò alla fallita insurrezione milanese del 6 febbraio 1853. Nelle speranze degli organizzatori della rivolta almeno quattrocento patrioti avrebbero preso parte all'assalto del palazzo della Guardia Reale; si ritrovarono invece in una dozzina e tra questi il Ferri che senza perdersi d'animo, si impossessò di un fascio di fucili che con una bandiera ornavano l'ingresso del palazzo. Scortò da una sentinella fu ferito da una fucilata. Nonostante ciò riuscì a sottrarsi alla cattura, girando di tetto in tetto sulle case del Verziere, soffrendo atrocemente per la ferita e la fame. Varcato il confine riparò a Deccio di Ghiffa, paese d'origine della sua famiglia. Grazie all'amnistia del 1857, che gli cancellò la condanna in contumacia a dodici anni di fortezza, poté far ritorno a Milano. «Nella primavera del 1859 fu inviato dal Comitato di Emigrazione di Milano ai traghetti del Ticino per agevolare ai volontari lombardi che accorrevano ad arruolarsi in Piemonte il passaggio del fiume». Francesco Ferri morì a Milano nel  1871.

E' sepolto nel cimitero di Ghiffa, nella tomba Minocci Giulio. Nei registri battesimali della parrocchia di San Maurizio della Costa non risulta nessun Francesco Ferri nato nel 1816, ne consegue che lui non nacque a Deccio, paese d'origine della famiglia.

Un'ultima annotazione. Tra i compagni del Ferri che parteciparono alle Cinque Giornate di Milano, Felice Venosta nelle sue Memorie cita anche un certo Giuseppe Aluisetti. Un cognome anche questo che ci rimanda alle terre di Ghiffa.

 

Per approfondire
Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute e sapute, 1847-1860, Tipografia Editrice Cogliati, Milano 1904, pp. 255-269.
Felice Venosta, I martiri della Rivoluzione Lombarda (dal settembre 1847 al febbraio 1853), Gernia e Erba Tipografi Editori, Milano 1862, pp. 184-187.
Giovanni Cavigioli, Ghiffa. Scampoli di storia e di cronaca, Tip. Alfieri e Lacroix, Milano 1923, pp. 82-83.
Città di Verbania. Il Risorgimento su Lago Maggiore - Ferri Francesco
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