Documenti. Dai giornali del tempo

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«Laveno. - Atteso con ansia inesprimibile, il Generale Garibaldi giungeva in questo Borgo il pomeriggio del 30 scorso. La popolazione accorsa in massa sullo stradale che mette a Varese, lo attendeva già da più ore. Ritardato lungo il cammino da imprevedute soste in più luoghi che ambirono l'onore di un suo saluto, di una sua consolatrice parola, non poté Garibaldi trovarsi a Laveno prima delle quattro pomeridiane, quantunque avesse dato speranza di un più sollecito arrivo.
Il Sindaco e la Giunta Municipale, con uno dei Capi dei Bersaglieri del Verbano, eransi recati ad incontrarlo fino a Cittiglio, e fu nella loro carozza che il Generale fece il suo ingresso in Laveno.
Una sfilata di più di trenta carrozze componevagli uno spontaneo ed imponente corteggio, che immense e replicate acclamazioni accolsero al primo apparire, acclamazioni che si fecero più fragorose ed entusiastiche alla vista del prode Capitano dei Mille che, modesto sempre quanto grande, pregava con cenno, poiché non gli sarebbe valsa la voce, una sosta a sì cordiale manifestazione d'affetto.
Quetato infine il primo entusiasmo, il Generale passava dinnanzi alle file della Guardia Nazionale numerose oltre ogni credere, e dinanzi a quella della scolaresca di Laveno vestita del simpatico uniforme de' Cacciatori delle Alpi, con bandiera, rendendo loro il militare saluto.
Proseguiva intanto il trionfale ingresso fra i musicali concerti, al suono delle campane, allo sparo dei mortaretti, fra le grida di evviva, per le contrade parate a festa e liete di popolo numeroso e giulivo; scese alla casa del signor Tinelli, Sindaco del Comune, ed affacciatosi al balcone stava per rivolgere la parola alla schierata Milizia ed all'affollata popolazione ivi raccolta, quando un vispo ed intelligente fanciullo, Carlomagno Pedotti, uscito dalle schiere dei giovinetti Cacciatori delle Alpi, e salito su di una carrozza, così arringava:
Vieni, o Padre adorato dei popoli, vieni a visitare una terra bagnata dal sangue prezioso dei suoi prodi, a beare di tua sospirata presenza un popolo che si gloria di aver dato due generosi figli all'eroica legione dei Mille, e ben molti altri vede accorrere sotto la tua invitta bandiera a combattere le battaglie della patria.
Forse un non lieto pensiero Ti si affaccia alla mente alla vista di questi Forti; ma la virtù, la gloria sta nel combattere e nel morire; e noi li vedemmo in quella memorabile notte i tuoi prodi sfidare la morte e cedere non al valore, ma all'inespugnabile baluardo ove si intanavano i trepidi nemici. Ma quel sangue non fu sparso invano e cadde seme fecondo di ben altri eroi, i quali ispirati al loro esempio di coraggio e di sacrificio, corsero ad ingrossare le Tue schiere e ad offrire loro pure il sangue per l'italica redenzione.
No, i figli di questa piccola terra non vennero mai meno al sacro appello della patria e in tutte le prove fortunate o infelici per iscuotere il barbaro giogo, con gioia, con dolore, ne rammentiamo tre generose vittime.
E noi, o Generale, non saremo degeneri dei nostri generosi fratelli. Noi ora impugnamo armi innocenti, le armi della fanciullezza, ma verrà tempo, ed il sospiriamo, in cui, chiamati dall'età e dalla voce della patria a cingere e ad impugnare ben altre armi, già pronti ed addestrati, sapremo difendere e conservare quella preziosa libertà che ci procurarono i tanti martiri, e tu principalmente, o Duce invincibile degli eroi, gloria ed onore di questa redenta Italia. Viva Garibaldi!
Assai commosso l'Eroe ringraziava il suo piccolo camerata, come Ei l'appellava, aggiungendo che se tutti avessero eguali sentimenti di esso, l'Italia sarebbe ben tosto spazzata dai ladri: che non importa a questa esser ricca ed ubertosa e che nulla valgono i suoi monumenti finché i nostri fratelli gemono ancora nei ceppi e finché essa è calpestata dallo straniero; perché è una vergogna per noi che, essendo già oltre venti milioni, permettiamo che una parte dei nostri fratelli gemano sotto la tirannide.
Si recò quindi ad inaugurare il Tiro ed alla sera, dopo avere visitato i Forti che con piccola mano dei suoi leoni tentò di espugnare, si ridusse nuovamente in casa Tinelli, ove ebbe parole di conforto con le damigelle Terruggia e Pedotti, sorelle a due valorosi caduti.
All'indomani, per tempo, volle rivedere la scuola maschile e mentre aveva parole affettuose e d'encomio al Maestro Bassani, con sublime quanto delicato pensiero, espresse il desiderio di lasciare un ricordo, esternando il piacere di baciare due dei più giovani per età fra i suoi piccoli camerati, che furono Brughera Massimo e Bassani Carlo; poi baciando e stringendo le mani affettuosamente al Maestro Bassani, lo incoraggiava con parole commosse al cammino del dovere e della patria, e così, accompagnato dalle acclamazioni del popolo lavenese, dal Sindaco, ecc... partì alla volta di Luino».

La Voce del Verbano, 6 giugno 1862

 

«Laveno. - Giorno di eterne ricordanza sarà per Laveno il 30 maggio p.p. in cui veniva visitato da garibaldi. Ansiosamente aspettato giungeva da varese alle ore 4 pomeridiane incontrato dal Sindaco a Cittiglio, ricevuto all'ingresso del paese dalla Guardia Nazionale e dalla Scolaresca sotto le armi fra concerti della banda musicale, al suono festivo dei sacri bronzi e allo sparo de' cannoncini. Ad onta del tempo piovoso, gran folla di popolo era accorsa dai dintorni, fra cui uno stuolo di Sacerdoti, e il prof. DElla Chiesa aveva pure condotto dal vicino Cerro il piccolo drappello de' suoi allievi, onde si beassero della vista di quel Grande a cui tanto va debitrice l'Italia.
Giunto sulla via Wasinghton nel palazzo Tinelli, attornato dal suo seguito, dal Municipio e dal Clero presentavasi dal balcone all'ansiosa moltitudine, dalla quale un giovanetto della Scuola Comunale asceso sopra la carrozza del Generale, a nome dei colleghi e de' suoi concittadini indirizzava al Generale con franco accento parole acconce ed apportunissime alla circostanza, al luogo; ed ascoltato con sommo interesse dal Generale, specialmente dove accennava a' tanti suoi fratelli che avevano seguito l'Eroe di Marsala, ed ai due di Laveno che avevano ai suoi fianchi data la vita per la patria. E noi piccini diceva sebbene maneggiamo armi innocenti, fatti adulti quando ci chiamerete già addestrati ci mostreremo non degeneri dai nostri fratelli.
Rispondeva benignamente il commosso Eroe, ringraziando, così ci dicea, il suo piccolo camerata, vi aggiungeva, armi ed armi; non è tempo questo di feste e monumenti, mentre tanti nostri fratelli gemono ancora nei ceppi del dispotismo; a che giova che l'Italia sia ricca ed ubertosa, mentre è calpestata dallo straniero; è una vergogna per noi che essendo già oltre venti milioni permettiamo che una parte dei nostri fratelli gemano sotto la tirannia. E voi, o militi della Guardia Nazionale, del cui marziale contegno mi lodo, spero che preserete volenterosi il vostro appoggio al valoroso nostro esercito quansdo scenderò a combattere le battaglie della finale liberazione. Addio.
Le acclamazioni entusiastiche... E Venezia...? Vi andremo?... presto... rispondeva.
Dopo ciò scendeva ad inaugurare il tiro al bersaglio, ove lodò la bravura dei bersaglieri del Verbano; poscia montato in apposita barca, recavasi a visitare i forti, facendogli conteggio lunghe file di ornate barche piene di festosi cittadini e vaghe signore.
Ritornato da que' forti, di nuovo ascese al Palazzo Tinelli. Il pranzo datogli nella gran sala di esso Palazzo veniva dalla banda rallegrato con scelti pezzi musicali dal vicino giardino, e sulla fine venne animato dai brindisi portati dal Sindaco al Generale, e da questi al Sindaco. Dopo il banchetto accoglieva le Rappresentanze delle Società degli Operai d'Intra e di Laveno e il prefato sig. Sindaco Tinelli aveva pure l'onore, oltre il pranzo, d'ospitarlo la notte coi suoi due figli, e tutto il suo seguito.
Alla mattina, in attesa dell'arrivo del piroscafo che doveva condurlo a Luino, Garibaldi si compiaceva di visitare la Pubblica Scuola Comunale Maschile, e tanto personaggio, come Cristo mostrò sempre predilezione pei pargoli, quivi restò meravigliato del preciso maneggio delle armi di quei ragazzetti in bella militare tenuta, ed ancor più delle cognizioni di Geografia di Storia patria non che di Geometria dimostrata da quei giovanetti. Significò la più sentita gratitudine a quel Maestro sig. Gerolamo Bassani e dichiarò che tutti quei cari figli intendeva abbracciarli baciandone i due più piccoli, aggiungendo varii consigli d'esortazione allo studio e alla moralità.
Di là partiva lasciando tutti quanti soddisfatti e commossi, ringraziandoli tutti della cordiale accoglienza».

Il Lago Maggiore, 7 giugno 1862

Città di Verbania. Il Risorgimento su Lago Maggiore - Documenti. Dai giornali del tempo
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