Documenti. Dal diario di Francesco Carrano

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«Capitolo VIII. Gattinara - Borgomanero. [...] Aveva prima il generale mandato innanzi Simonetta con una metà delle guide a cavallo da Biella a Gattinara, il quale, perlustrato bene il paese a molte miglia intorno, ebbe saputo che le pattuglie austriache non passavano allora oltre Ghemme, paesetto sulla sinistra della Sesia, e fu ben egli che ogni cosa ebbe ordinata per la costruzione del ponte a Romagnano, coadiuvato in ciò grandemente da Alessandro Antongina, capo di un opificio di Borgosesia, che si mostrò in quella, siccome in altre circostanze ancora, prontissimo con affetto a servizio dell'Italia. Poi lo stesso Simonetta spingendosi più avanti andò a Borgomanero, dove lasciò il capo-squadra Besana con quindici guide, ingiungendogli di perlustrare molto spazio del paese, e se i nemici si appressassero in forza, ritirarsi a Gozzano sulle alture alle sorgenti dell'Agogna fra Borgomanero, Arona, e Orta, e colà aspettarlo: quindi egli con tre guide, Pagliani, Solari e Franchini, passò a Gattico. In questo villaggio che sta nella altura fra Borgomanero sull'Agogna e Castelletto sul Ticino, il Simonetta lasciò le tre guide e il suo cavallo, si vestì da borghese con abiti dell'ingegnere Scotti, e in un biroccio si fece portare a Borgo Ticino, mandò pregare il deputato politico di Sesto-Calende Biagio Viganotti, suo amico, per un abboccamento segreto, e nel frattempo andò alla sua casa in Varallo Pombia sul Ticino, e quindi corse gran tratto della riva destra fin presso a Somma e Castel Novate che stanno sulla sinistra. Le quali cose a lui tornavano meno difficili, poiché ha parenti e amici fra i più noti liberali di quei paesi d'ambo le rive del lago Maggiore e del Ticino, ed esso è molto noto e caro a quelli per essere uomo sinceramente e con chiari fatti devoto alla libertà e indipendenza d'Italia, e pieno di bravura.

Gli Austriaci avevano requisite tutte le barche, e poche ne avevano potuto gli abitanti sottrarre riponendole in luoghi nascosti. Il Simonetta ne scoprì una ventina al coperto in una roggia presso alla Maddalena. Venuto poi l'amico Viganotti al ritrovo sulla destra riva rimpetto a Sesto-Calende, appalesò al Simonetta, pochi soldati austriaci essere in Sesto, ausiliari dei gendarmi e delle guardie di finanza, e pochi altresì in Somma, né più di un battaglione in Gallarate; quanto alle barche promettere di raccoglierne bastevoli per un passaggio, e ciò poco prima del momento nel quale potesse il Garibaldi scoprirsi con forze imponenti sul Ticino. Così fecero insieme l'accordo sui modi di far passare tutta la brigata a Sesto-Calende.

Da Varallo Pombia il Simonetta si recò in vettura a Stresa, e quindi in barca a Pallanza e Intra, dove egli possiede un'altra casa. Raccolse informazioni sui forti di Laveno e sui battelli a vapore austriaci, e conobbe essere quasi impossibile tentare un passaggio da quella banda. Quindi per Omegna e Orta ritornò a Borgomanero la mattina del 22. L'appuntamento fermato col Viganotti era, che nella notte dal 22 al 23 maggio dovevano barche e guide trovarsi pronte sulla riva destra del Ticino, al luogo che sta disotto alla casa Visconti, pochi passi fuori di Castelletto. Il Viganotti aveva grande autorità su quei battellieri fluviali, e il segreto, condizione essenzialissima, fu mantenuto rigorosamente.

Borgomanero sta sulla riva sinistra dell'Agogna. I Cacciatori delle Alpi vi erano giunti la sera del 21, e avevano collocati avamposti alle uscite principali del paese, sulla strada di Romagnano, onde la brigata era venuta, e su quelle di Novara e di Arona: pattuglie di cavalli perlustravano più che mai attentamente coteste strade. Si sapeva che il nemico era in Novara e spediva distaccamenti fino a Borgo-Vercelli: del resto occupava le stesse posizioni di prima sul terreno compreso fra la Sesia, il Po e il Ticino. Il giorno precedente, 20, era stato il combattimento di Montebello, e nel giorno 21 la divisione quarta, condotta dal suo valoroso generale Cialdini, passava la Sesia in due colonne, una ad Albano che combatté a Villata e si spinse fino a Borgo-Vercelli, l'altra a Cappuccini-Vecchi fugò il nemico fin oltre Torrione: e il giorno appresso il re in persona condusse una ricognzione offensiva a Palestro, con molto ardire operata, preludio felice della nota battaglia che di là a pochi dì vi fu combattuta, e che molta gloria acquistò alla quarta divisione e al prode generale Cialdini.

Nello spazio di poco meno di un giorno che i Cacciatori delle Alpi si fermarono in Borgomanero, il generale, oltre agli apprestamenti pel passaggio del Ticino, attese anche a provvedere perché i battaglioni fossero in tutto punto preparati a combattere, avessero le armi nette e cartucce bastevoli, e lasciassero i sacchi, e riponessero le cose più necessarie nelle saccocce che già avevano ordinato si facessero nei cappotti. Ma non tutti ebbero cosiffatte saccocce, e perciò furono poi veduti moltissimi portare pieni di roba i sacchi da pane con molestia e impaccio marciare. Ordinò ancora che gli uffiziali lasciassero in Borgomanero le cassette di campagna, e ciascuno, come potesse meglio, facesse di portare con sé tanto solamente che bastasse appena a mutare una camicia e una calzatura. Lo stato-maggiore fu primo a dare l'esempio; il generale primissimo a far leggiero fagotto di poca biancheria che involse in un pezzo di tela cerata. Egli ha pochissimi bisogni: mangia poco, beve acqua, e dorme benissimo nel suo cappotto all'americana sulla nuda terra. Fermato stabilmente il disegno, non svelato per intero a nessuno, di quanto si aveva a fare di là a poco, il generale si addormentò placidamente.

Fra la seconda e la terza ora dopo mezzogiorno, sotto pioggia fortissima, la brigata prese a marciare per la via di S. Cristinetta. Il generale andava alla testa della colonna pacatamente discorrendo con i suoi uffiziali come a passeggio, e fumando mezzi sigari di Nizza, svolgendoli e rivolgendoli a suo modo marinaresco. Intanto più del solito frequenti mandò piccole pattuglie di cavalli ad esplorare. Non pioveva più, e gli ultimi raggi del sole indoravano le cime degli alberi e le vette delle alture circostanti. Così si venne sotto a Oleggio Castello, che è non più di quattro miglia italiane da Borgomanero. Quindi ad Arona la via discende. Al cominciare della discesa un uffiziale che andava accanto al generale, scoprì a destra fra i rami degli alberi giù sul lago un bastimento che mandava fumo, e l'additò al generale. Certo da quel bastimento a vapore si poteva col cannocchiale vedere e conoscere la colonna che scendeva in Arona. Subito il generale mandò a dire al Cosenz, che veniva a capo del primo mezzo-reggimento, si fermasse colà dov'era, anzi facesse contromarciare i suoi fino a poter nascondere la testa della colonna alla vista del lago. Egli intanto smontò da cavallo, e si pose a osservare col suo cannocchiale quel bastimento. Un contadino disse: è il Radetzky. Indi a non molto il Radetzky, o quel che fosse, mosse via di là risalendo il lago. Allora il generale, e già cominciavano le tenebre, fece marciare avanti la brigata, ingiungendo che la testa si fermasse fuori del paese ove sbocca la strada di Novara. Egli e il suo stato-maggiore colle guide a cavallo andarono a smontare presso la stazione della via ferrata. Pochi cavalli furono spediti a perlustrare la grande strada postale che passa per Arona: ma già si sapeva che non vi erano truppe nemiche in vicinanza. Intanto il Simonetta aveva ordinato alloggi e viveri per tremila e cinquecento uomini e cinquanta cavalli in Arona e più su a Meina, e ciò per ingannare le spie nemiche.

Il telegrafo elettrico fu rimesso in corrispondenza colla Svizzera, e il generale se ne valse per dare del suo arrivo in Arona avviso al ministro in Torino. Nella stessa notte 22-23 il generale, avendo lasciato in Arona il commissario di guerra colla retroguardia a raccogliere i viveri e riporli sui carri, si rimise colla brigata in cammino per la strada a Castelletto. Di là a due miglia questa strada si biforca; il braccio a sinistra va a Castelletto, il tronco principale mena a destra per Oleggio a Novara.

 

Capitolo IX. Passaggio del Ticino a Castelletto. A sinistra svoltò la colonna, e fatto un miglio o poco più, si fermò alla dogana di Castelletto. Quindi il generale col secondo mezzo-reggimento, e con esso il tenente-colonnello Medici, il maggiore Sacchi e il tenente Simonetta, entrarono in Castelletto. Il resto della brigata serenò, con a capo il tenente-colonnello Cosenz, là dove si era fermata, cioè alla dogana presso la rampa del ponte volante sul Ticino: e il Cosenz ordinò, e fu l'ordine a rigore obbedito, che nessuno andasse fuori delle file, e collocò posti di sicurezza e di avviso acconciamente alla rampa e sul tratto della riva a destra e a manca di questa. Il nemico aveva già prima ritirato il ponte a Sesto-Calende. I Cacciatori delle Alpi in quel giorno non erano più di tremila e dugento; i cavalli tuttavia erano circa cinquanta; non un cannone, non un soldato del genio, né attrezzi, né strumenti, e non carabine da bersaglieri. Meglio così, diveva Garibaldi; tanti impacci in meno! Ma in quanto alle carabine egli le desiderava grandemente, e perciò si teneva cari quei pochi carabinieri genovesi, i quali avevano buone armi sì, ma di varii calibri. I militi lombardi, che formavano quasi due terzi della brigata, erano esuli, i più da dieci anni, altri da pochi mesi, altri da pochi dì, e tutti si struggevano, com'era naturale, di riporre piede sulla desiderata terra.

In quel mezzo, nella notte, il generale col Medici e col Sacchi, nei quali egli sommamente confidava, avendoli sperimentati valorosissimi in America e in Roma, si apprestava ad eseguire il divisato passaggio del Ticino. Guidati dal Simonetta collocarono i due battaglioni nella casa Visconti, occupando questa militarmente, e ciò per mostrare che non si volesse far altro che impadronirsi di quel sito sulla riva destra del fiume. Entrati nel parco ne chiusero il cancello, e quindi pochi per volta si accostarono silenziosi all'acqua. Due file di battelli, di otto ciascuna, legati l'uno all'altro pe' fianchi, stavano discoste fra loro verticalmente alla riva. In buon numero entrarono in quelli i militi, e sempre in gran silenzio: quindi per forza di remi insieme e della corrente, quasi in forma di due colonne di attacco, afferrarono la terra lombarda. Il resto di quel mezzo-reggimento fu lasciato in riserva sulla riva destra. Nessun contrasto incontrarono i primi; alto silenzio era intorno; i nemici dormivano. Le compagnie riordinate prestamente si misero per due sentieri e per la strada grande che viene da Gallarate, questa e quelli convergenti a Sesto Calende. Così procederono in tre piccole colonne: e tuttoché non fosse l'insieme perfettamente mantenuto, pur giunsero a sorprendere una casetta, quasi un chilometro dal paese, nella quale erano pochi finanzieri, e li fecero prigioni. Poscia più compatte si accostarono a Sesto-Calende. Quivi il generale, sempre a capo dei più arditi, comandò e mostrò come prendere le poste intorno a Sesto. Dei rimasti sulla riva destra i più dormivano al sereno, e quelli che furono posti a guardia presso la rampa, e gli altri più giù a casa Visconti, oregliavano ansiosi. Ma ecco un forte battere a una porta in Sesto-Calende. Era il Simonetta, che seguito da una ventina di militi sforzava l'entrata della caserma nella quale dormivano profondamente quaranta o poco più fra gendarmi e soldati di linea, e li presero tutti. Medesimamente furono arrestati nelle loro case il commissario di finanza e altri impiegati imperiali.

Esprimere con parole l'allegria dei Cacciatori delle Alpi per questo primo successo, certo io non posso. In un attimo i barcaiuoli si misero all'opera lieta di riporre la gomena e gli altri congegni per mettere in movimento il ponte volante, e in poco di tempo fu questo veduto appressarsi alla rampa a Castelletto, e innanzi e di fianco molti battelli di varie forme approdare in frotta. Su quel ponte volante, era l'alba del giorno 23, veniva il generale Garibaldi, guardando ai militi che si affollavano sulla riva destra per passare, col suo sguardo vivace e sorridendo di sotto ai baffi, sì che pareva dicesse: Venite, vi ho aperto il varco alla terra lombarda. Allora fu il momento più difficile a rattenere la pressa di quei giovani ardenti. Nondimeno la voce imponente del Cosenz, il quale questo ha di raro cha sa farsi amare insieme e obbedire dai suoi sottoposti, valse bene a richiamarli all'ordine, e farli imbarcare ordinatamente per compagnie secondo il numero di ciascuna. Per tal modo uomini e cavalli furono trasportati alla riva desiderata. Durò il passaggio fino alle ore sei. Né fu prima dimenticato di porre sulla riva destra del fiume una catena di cacciatori imboscati presso alla peschiera o vetreria Castelli, e un'altra bensì sull'isolino di faccia che sta accosto alla riva sinistra allo sbocco del rio Lenscia: e furono siffatte precauzioni prese per poter tenere in rispetto i legni a vapore austriaci che dal lago fossero venuti a molestare quel passaggio. Dalla vetreria Castelli e dall'isolino si poteva con moschetti far fuoco incrociato su qualunque legno che fosse di là venuto alla volta di Sesto-Calende. Infatti uno si appressò per poco, ma subito ritornò dietro. Fu benanche provveduto al collocamento degli avamposti, e prima di tutto fu occupata l'abbadia a settentrione di Sesto sulla destra del Lenscia, allo sbocco delle strade di comunicazione con Laveno, e fu sibbene, e più fortemente ancora, occupato a levante il nodo delle strade che menano a Somma, onde poi per Gallarate si va a Milano. Vigili pattuglie perlustravano quelle vie per ogni verso».

 

Francesco Carrano, I Cacciatori delle Alpi comandati dal generale Garibaldi nella guerra del 1859 in Italia, Unione Tipografico-Editrice, Torino 1860, pp. 230-239.

Città di Verbania. Il Risorgimento su Lago Maggiore - Documenti. Dal diario di Francesco Carrano
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